C’era
una volta un pesciolino che non sapeva nuotare. Se ne stava fermo a metà strada
tra la superficie e l’abisso, da solo. Ogni tanto gli si avvicinava qualche
altro pesciolino e gli chiedeva come mai non si muovesse mai di lì, o
semplicemente come stesse. Rispondeva a monosillabi, lui, o se ne restava muto
come un pesce. Un giorno apparve uno squalo in lontananza e tutti i pesci
scomparvero, tranne lui. Lo squalo lo puntò stupito; poi sogghignò. Gli si
appropinquò, allora, lentamente, puntandolo, muovendo la pinna a destra e a
sinistra. Il pesciolino restava fermo. Lo squalo, avvicinandosi, si domandava
se la sua preda fosse coraggiosa o non si fosse in realtà accorta della sua
presenza, ma, quando vide che il pesciolino ricambiava con fermezza il suo
sguardo, non ebbe dubbi. Accelerò e spalancò le fauci, e l’unica cosa che il
pesciolino disse prima di essere inghiottito nel gorgo dello stomaco fu: «Finalmente!».
Favola concepita insieme a Gabriele Dasso, dopo un'abbuffata di triglie fritte.
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