lunedì 31 agosto 2015

Autoritratto in uno specchio concavo

Mi specchio nell'incavo di un cucchiaio,
il cucchiaino da caffè, col quale
giro lo zucchero. Riflesso appaio
opaco e capovolto in quell'ovale.

I muri lì dentro si fanno obliqui
e il soffitto precipita nel manico
e come in fondo a una clessidra il liquido
ormai preterito. Mi prende il panico

tremo e mi sento accelerare il cuore
e passano attimi che sembrano ore
e vite. Mentre tremola la fiamma

dell'accendino il mio ritratto annera.
Mi torna in mente un tintinnio; com'era
buono il caffè che mi faceva mamma.

Vanità a lume di candela

La croce in legno scuro e in chiaro il Cristo
le mani e i piedi in quella posa atroce
e tesa. Metto a testa in giù la croce
più che per l'Anticristo per San Pietro.

Dentro una scatola di carta smisto
la sabbiolina nera di una mia
clessidra: nel trasloco da Pavia
a Torino la ruppi e adesso il vetro

affiora tra i granelli. Ecco così
l'ho tramutata in un giardino zen.
Sono seduto a lume di candela

- a casa hanno tagliato la corrente.
Sul tavolo lo specchio mi rivela
un'altra fiamma e oltre le fiamme me.

Paesaggio marino

Si calma il mare: è una distesa grigia;
si affloscia al palo una bandiera rossa,
mentre i bambini scavano una fossa
tra gli ombrelloni chiusi e la battigia.

Duplico replico ripeto copio
immagini composte in un'immagine.
Le lascio scorrere e frusciare: pagine
di un flipbook, specchi di un prassinoscopio.

La luce riflettendosi rimbalza
e rende tremula la superficie.
C'è sulla spiaggia una ragazza scalza,

mi mostra il mare, le cabine, il Lido,
parla e non sento quello che mi dice.
Quando mi chiedono: "Chi sei?" sorrido.

Natura morta con scacchiera

Un vaso e dentro fiori di carota
selvatica in ombrelle; uno spartito
per strimpellare Yesterday dei Beatles
all'ukulele; una scacchiera vuota.

Sul tavolo marciscono le mele,
più effimere di quelle che dipinse
Cezanne, e meno rosse e con più grinze.
Crepato è il manico dell'ukulele.

Al frigorifero un magnete egizio
raffigurante Anubi. Sul balcone
tra la cucina e il bagno di servizio

dolcissima riecheggia una canzone;
ma ha il suono della tromba del giudizio
lo squillo del telefono in salone.

Vanità del suicida

La porta in fondo al corridoio è scura:
la luce penetra dalle altre porte
e i raggi sono per l'angolatura
qualcuno più qualcuno meno forte.

Dalle pareti sono stati tolti
i quadri e alcuni hanno lasciato il segno.
A sinistra una libreria con molti
volumi e, sotto, un mobile di legno.

L'unica costa che si legge bene
è il saggio sul suicidio di Durkheim.
Sul mobile c'è un cesto che contiene

molti limoni dalla buccia d'oro
e in mezzo a questi un verde scuro lime,
accanto a un teschio che alla tempia ha un foro.

Natura morta con sigarette

La batteria dell'orologio è scarica:
diventano più lente le lancette
e quindi inaffidabili. Le sette
e venti abbozzano un sorriso triste.

La luce è dolce ma qui si rammarica,
si ostina a rendere le cose nette:
il posacenere, le sigarette,
quest'ultime alla cenere frammiste

e le parole perse in una chiacchiera.
Sul mobile vicino al frigo il latte
ha un buco nel cartone e cola: macchierà

inesorabilmente il pavimento.
Contro lo stipite la tenda sbatte
nel tentativo di afferrare il vento.

Esercizio di mnemotecnica

Nei miei personalissimi deliri
ascoltando il fruscio di un giradischi
mi aspetto che resusciti uno spirito
- ed è più facile se al suono mischi

un dito, e ancora meglio due, di whisky.
Sentirsi giù di tono e su di giri
è solo uno e non dei più gravi rischi:
quando mi appare quella i cui respiri

l’Incompiuta completano di Schubert,
mi scordo dove sono, e quando, e chi;
cala la luce nella stanza, affranta

dal passaggio improvviso di una nube,
mentre s’incan s’incan s’incan s’incanta
il disco ed è incantevole così.

Vanità con topo

Tanti minuscoli cilindri neri
sul pavimento della sacrestia.
Sul tavolo una scatola coi ceri
- oh gli stoppini come sono corti! -

accanto ad una pisside dorata.
Un po' più in là, sopra alla scrivania
in un registro con diverse date
cognomi e nomi di persone morte.

Nessuno sa cosa succede dopo.
L'acquasantiera è rorida, il turibolo
cela l'incandescenza dell'incenso.

Un crocifisso al muro, su una mensola
un teschio che ha fuori asse la mandibola;
da un'orbita oculare sbuca un topo.

Paesaggio arcadico

Alti e spaziosi gli alberi in cortile
tremolano rendendo le ombre incerte.
Una lucertola nell'erba avverte
tra un guizzo e l'altro una presenza ostile.

Inesorabilmente l'aria imbruna;
le creste indora dei Lattari il sole;
l'oscurità si infiltra nelle aiuole.
Discutono quattro ragazzi ed una

ragazza si allontana dalla panca,
la spalla nuda, una maglietta bianca
ed il foulard coi teschi di McQueen.

E nonostante si sia fatto scuro
si riesce ancora a leggere sul muro
in fondo al portico il graffito: ET IN.

Natura morta con limone

Lo squillo del telefono non smette
di emettere il suo trillo per le stanze.
Sul tavolo si staglia un aprilettere:
i telegrammi delle condoglianze

sono impilati accanto alle bollette.
Entra la luce: prende le distanze
e cerca superfici per riflettersi
e riprodurre quello che non ha in sé.

Lo schermo spento del televisore
su cui convessamente si raduna
in un'opaca replica il salone,

il vetro di bottiglie di liquore,
le lucenti striature di un limone
di costiera tagliato a mezzaluna.

Il riciclaggio dei calendari

Il tempo adesso ci offre paradossi
solo apparenti, credimi; se fossi
più metodico ti direi perché.
Cresce la schiera delle candeline

spente accanto alle briciole di glassa.
La quarta dimensione scarta e ammassa
in uno scatolone le altre tre,
le rende tutte complici. Alla fine

l’ho fatto: ho riciclato i calendari
foglio su foglio e ognuno era una faglia.
Ci imballo soprammobili di vetro

ed altri oggetti che mi sono cari.
Prendendone uno della giusta taglia
ci ho scritto questa poesia sul retro.

Piazza italiana

Sbatte un cancello e il cielo si allontana.
Il sole ha reso anche i piccioni schivi.
La tramontana fa venire i brividi
ad una agorafobica fontana.

La piazza potrebbe essere italiana;
ci sono in fondo a tutto due persone
che fanno un'ombra, come lo gnomone
in pietra di un'enorme meridiana.

Non c'è nessuno in giro, a parte loro.
Neppure i portici offrono un riparo
alla calura. Si aggira un cane cauto

tra le colonne e nello spazio vuoto
tra una colonna e l'altra: il porticato
sembra uno scheletro di brontosauro.

Natura morta con fiori, vino e violino

Il lampadario ha lampadine fioche e
accanto a libri e fogli sparsi spiccano
una bottiglia e un piccolo bouquet:
garofani appassiti e rose secche.

Sul tavolo, sul bordo, di sbilenco
un libro, un'edizione così vecchia
delle poesie d'amore di Evtušenko
che al centro alcune pagine si staccano.

Per terra accanto al tavolo un violino
somiglia a un osso iliaco, l'archetto
di conseguenza ad una tibia e a un perone.

Il letto è singolo e sul comodino
ci sono dei sonniferi e sul letto
altri garofani e un cappotto nero.

È solo un'altra tacca in più

Sul mio taccuino aggiungo un’altra tacca
quando tramonta e stende le sue strisce
il buio sulla linea in cui finisce
il mare e il cielo inizia e se ne stacca.

Qui dove le onde arrivano e si spaccano
in schianti e schiume e svuotano le viscere
io scarico i miei stupidi cliché
perché se li divori la risacca.

Mentre l’estremità del mare mastica,
altalenando avanti e indietro alterno,
alghe, catrame, sabbia, sassi e plastica,

sui moli di ogni porto e sulle darsene
so che vedrò qualcosa di Salerno
restare e nello stesso tempo andarsene.

Interno sotterraneo

In così tanta oscurità le sbarre
delle saracinesche dei garage
fanno pensare a tele di Soulages.
Le cantine continuano ad attrarre

ragazzi inquieti e vandali: per terra
accanto ai vetri rotti un estintore
scarico. Un ragno è sull'interruttore
della luce. L'umidità mi afferra

al collo e nonostante ciò non esco.
C'è un'automobile bruciata: in quella
tenebra sembra un teschio gigantesco:

appaiono le cavità nasali
nel simbolo Renault e una mascella
nel paraurti e orbite nei fanali.

Natura morta con castello di carte

In bilico sul tavolo un castello
di carte si erge per sei piani: accosta
lo sguardo triste delle dame e quello
ancor più malinconico dei jack.

Le carte sono per lo più sul dorso,
alcune rosse, alcune blu. La posta
si accumula. A una mela ho dato un morso
per riprodurre il simbolo del Mac,

in attesa di cogliere il momento
preciso in cui tutto il castello crolli.
Sarà la mosca sulla mela o il vento

che timido si affaccia alla finestra
o la risata isterica del jolly
davanti al sei di fiori in basso a destra?

Intrappolato a Cipro dal vulcano

Intrappolato a Cipro dal vulcano
islandese: ah la globalizzazione.
Sono seduto, ho una patata in mano
- pare che qui siano davvero buone -

ed ho intenzione di sbucciarla piano,
di farlo con la massima attenzione,
per non distrarmi e non sentirmi strano,
perché la lama del coltello espone

le vene delle braccia denudate
agli incresciosi amletici languori:
nella patata scorgerei di Yorick

il teschio ed Elsinore nel mio sgabello.
Ah se potessi prendere un coltello
soltanto per sbucciare le patate.

Natura morta con limoni

La trasparenza alcolica di alcune
bottiglie accatastate sulla mensola.
Piegato in quattro un manifesto funebre
sul tavolo in cucina e il giallo intenso

di un cesto di limoni, nella fioca
luce del pomeriggio. Più si oscura
e più le bucce hanno la pelle d'oca,
un'acre e lucida zigrinatura.

Si adagiano ombre sulle sedie nere,
si mescolano all'ultima bottiglia
intorbidendola. Un limone sta

sull'orlo ed è tagliato in due metà.
La buccia è una spirale e si attorciglia,
sembra che sia sul punto di cadere.

Vanità con libri e kindle

Oggi la luce meridiana abbindola,
dà l'illusione di durare, e dura
un unico chiarissimo barlume.
La stanza in cui però mi trovo è scura,

si spande come se fosse olio l'ombra,
impregna l'aria in tutto il suo volume
e ingurgita la scrivania ingombra
di libri e appunti. C'è un lettore kindle

a destra, in bilico su un libro, è spento;
al centro invece un teschio che non lesina
col suo sogghigno il monito perenne.

Le orbite fungono da portapenne,
è un fermacarte, un teschio in vetroresina
ma non per questo è falso il suo memento.

Autoritratto con la madre

I panni stesi imbiancano il balcone
tra il bagno di servizio e la cucina.
Lei è seduta al tavolo, ha un bottone
in mano, il lembo di una giacca e il filo.

Io in mano ho una manciata di carrube
e in fondo al cuore una segreta pena.
Oltre di noi altissima una nube
si espande fino a ricoprire il cielo

ottenebrandolo come una cappa,
come l'avvio di un temporale estivo.
Infilza l'ago nel bottone e al dito

due volte attorcigliandolo lo strappa.
Nella tasca una lettera che avevo
scritto per lei ma che non ho spedito.

Interno estivo; poi esterno

La luce filtra dagli infissi e sfila
sfiorando un nugolo di moscerini,
atterra nel lavabo, sulla pila
di piatti e nel bicchiere col Bellini.

La griglia in ghisa dei fornelli sembra
una gabbia toracica ed un omero
il mestolo: lo scheletro si smembra.
Sorridono le bucce di cocomero

sui piatti, le mandibole di teschi.
Accanto alla bottiglia di prosecco
formicola di semi neri il tavolo.

Vaga nell'orto il vento e tra due peschi
si sente un tintinnio spettrale e cavo:
di un fūrin appeso ad uno stecco.

Vanità con scarafaggi

Dalla finestra ermetica appare una
cappa; ricorda una parete nera:
è il cielo. Dentro c'è una luce bruna,
opacizzata dalla plafoniera.

Spicca sul tavolo di compensato 
sinuosa accanto a un teschio una clavicola.
Per terra il cercine sclerificato
di scarafaggi, massa che formicola,

flabelli e antenne in sfrigolante dilagar
onde di inchiostro isterico che incracchia
i tasti e le aste e il rullo di una Caligraph

scassata; striduli e scricchianti crocchi
sul suolo che s'imblatta e imbratta e macchia.
Il teschio sembra che abbia ancora gli occhi.

Un bastimento carico di oblio

Un bastimento carico di oblio
ho visto entrare questa notte in porto.
Nella stiva estenuata dal rollio
c’era uno strano odore di stantio

ed una cassa da (ma senza il) morto.
Ciò nonostante il doganiere assorto
non ha parlato ed ho taciuto anch’io.
Nella cabina, poi, mi sono accorto

che sul giornale, anonimo, di bordo
oltre al referto sull’oscuro feretro
e dati lacunosi sul tragitto

tra le onde mosse delle righe nere
in giorno senza data era descritto
nei minimi dettagli un mio ricordo.