Dalla persiana filtra un filo appena
di luce; arranco alla finestra ed ecco
tra lunghe nuvole la luna piena.
Il muro squallido, lo squillo di un
telefono lontano e un tonfo secco,
e no, non è la luce in fondo al tunnel.
Prendo i sonniferi con il caffè.
A via Belfiore
c’era l’amore
e ora chissà dov’è.
Se chiudo gli occhi, ecco rivedo ancora
nell’interiore oscurità il barlume
di lei e me, sulla panchina, e affiora
la schiena, il viale, ombre remote, appare
il parco e lei che mi ricopre e il fiume
che nei miei sogni è diventato un mare
oscuro e vasto molto più di un Po.
A via Belfiore
c’era l’amore
e adesso non lo so.
Piangendo metto a fuoco la visione:
il suo vestito è bianco come quello
di una sacerdotessa, il San Simone
per terra e la saracinesca in via,
suppongo, Pellico. Quant’era bello
intrappolarsi nella nostalgia
e com’è triste esserne prigioniero.
A via Belfiore
c’era l’amore
ed era amore vero.
La lampadina e la parete in fondo;
lo stucco che si sgretola sui muri
mostra dei valichi per l’altro mondo.
Emergono da tenebra perfetta
il volto pallido e i capelli scuri
di Arianna, Arianna e l’ombra che proietta.
Il tempo scorre vorticosamente;
i ragni ballano la capoeira.
Quando mi annichilo e non penso a niente
mi sembra ancora di essere con lei là
in quell’incrocio.
Ci diamo un bacio;
cade la bici.
Lo spacciatore
mi chiede: “Amico!
sai mica che ore
sono?”. Gli dico:
“Manca pochissimo all’eternità”.
A via Belfiore
c’era l’amore
e sempre ci sarà.
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