domenica 30 agosto 2015

Una notte ai Murazzi

È l’una, sono a letto e non ho sonno. 
Ho le pupille attonite di un tonno 
che sa che diverrà sashimi e sushi. 
Visto che sento ancora in me gli sprazzi, 
gli ultimi, della giovinezza, sguscio 
dal letto per andarmene ai Murazzi. 

Piazza Vittorio sembra un alveare 
che pullula di chiacchiere e di bar e 
trovo un amico che mi dice: “Siediti” 
e mi fucila poi con degli shot. 
Da lì il battello della GTT 
mi sembra per un attimo uno yacht. 

Guardando il fiume scorrere infinito 
mi domando se Eràclito (o Eraclìto?) 
all’epoca in cui scrisse il panta rei, 
cioè tutto scorre, conoscesse il Po. 
Qualcuno scambia il 12 col 6 
e canta: “Pò po pò po pò pò pò!”. 

Avanzo a stento e cerco invano un varco; 
pian piano faccio la discesa barcollando. 
Con le cannucce in compagnia 
di Alessandra, Michela, Dunia e Marco 
ci scoliamo due litri di sangria. 
Ma dopo un po’ devono andare via

e mi ritrovo un’altra volta solo; 
oltre i gazebo, un po’ più in là, sul molo 
c’è un uomo che precipita e sparisce 
nel flusso placido del fiume fosco.
Intanto mi vengono offerti hashish e 
allucinogeni che non conosco. 

Dai bracieri abusivi si alza un tanfo; 
ragazzi stupidi ma con gli smartphone 
fanno una foto con un tag e un like. 
Mentre la polizia municipale 
avanti e indietro con le mountain bike 
pattuglia il corso e gli accessi alle scale. 

Mi offrono omaggi, sconti, riduzioni, 
ingressi liberi, consumazioni, 
e anche le informazioni correlate; 
jam session, dj set, concerti live 
e prendo volantini di serate 
che finiranno all’alba, o forse mai. 

La situazione poi si fa bizzarra: 
qualcuno sfodera una scimitarra, 
altri bottiglie di acido e coltelli. 
C’è solo un buttafuori che li arresta, 
così prendendosi, però, da quelli 
un fendente di scimitarra in testa. 

L’ora mi provoca illusioni ottiche 
e confondo tamarri e cabinotti, 
ultras del Toro e ultras dell’altra squadra. 
Chi piscia contro il muro e chi nel fiume. 
Un cane mi passa vicino e latra 
quello che mi sembra essere il mio nome. 

Credo che basti, penso, e rincasando 
mesto com’ero uscito mi domando 
da quanto tempo non ho visto e fino 
a quando non potrò vedere chi 
dieci anni prima in visita a Torino 
insieme a me era venuta lì. 

Se guardi il fiume scorrere, mi dicono, 
passa il cadavere del tuo nemico. Non 
è, però, questo che auguro ai nemici. 
Vorrei dir loro: “Addio” ma sono ateo. 
Spero almeno che siano felici 
quanto in questi anni qui lo sono stato io.



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