La guardia svizzera rimane all’erta
anche se per un attimo, in disparte,
controlla il polso: l’orologio è fermo.
Dall’alto in basso e da sinistra a destra
non si affaccia nessuno alla finestra:
di solito a quest’ora il papa dorme
e alcuni parroci fanno Tai Chi.
La mano duole e non ci sono stimmate;
allo specchio mi osservo per aenigmate
e narciso significa narcosi.
Stendo per la chiromanzia le dita
e tra le linee e i suoi significati
profondamente ascosi
riesco a vedere, uniti, un ρ e un χ.
Questo non è il solo messaggio perso
o perturbato: tubano con il morse
i piccioni tra le colonne e i cespi;
uno, cercando il suo destinatario
cui svelare la fine della storia
senza una zampa zoppicando incespica:
quale, per amputargliela, e da chi?
Molto al di là del raccordo anulare
c’è una cascina in cui vorrei tornare;
arrugginita banderuola, un gallo
sul tetto svetta e cigolando gira,
e diresti che canti per i lari
quando il vento la scrolla
un ipotetico chicchirichì.
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