Così discesi con le scale mobili
insieme agli altri, giù nel sottosuolo,
uomini ed ombre certe con i lobi
sintonizzati su pensieri omologhi
e intermittenti e i lombi fiacchi e spenti.
In loro compagnia discesi, solo,
un po’ precipitando e un po’ in ralenti
come fa il tempo. Accanto a me, sul muro,
vidi i segnali per i non vedenti
e qualche crittografico scongiuro,
motti politici e graffianti insulti
e altri graffiti di colore oscuro.
E come al vento accade che sussultino
i petali umidi di un nero ramo
e siano nel buio quasi occulti
agli occhi, così noi ci muovevamo
in gran tumulto, teste affrante e piene
di sonno; intorno a noi il lucore gramo
di un balbettante neon e nuove tenebre.
Osservavo i binari e lentamente
il sangue deragliava nelle vene.
Poi rintronò e il treno con decrescente
furia uscì dal tunnel, frenando, e si
fermò. Si strinse e raddensò la gente.
Con un argenteo sibilo si aprì
la porta e nel vagone della metro
entrammo, silenziosamente; lì
lessi il divieto di voltarsi indietro.
lessi il divieto di voltarsi indietro.
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