mercoledì 11 novembre 2015

Autoritratto alla maniera di Modigliani

Oltre il terrazzo il mare e la costiera
amalfitana vista da Salerno.
La luce calda cala nell'interno
e s'incupisce sulla giacca nera

e la camicia aperta al collo e bianca,
e sui capelli scuri con il ciuffo.
Il naso è un triangolo scaleno buffo.
Curvandosi le labbra si spalancano

in un sorriso che si ripercuote
su guance, zigomi, mascella e gote
come onde in uno stagno a semilune

quando ci cade dentro un sasso; alcune
sono già rughe. Tra le ciglia brune
e le occhiaie iridi e pupille vuote.

lunedì 28 settembre 2015

Il sapore dell'uguaglianza

Una sardina incontrò un’altra sardina in mare e le disse:
– Ciao.
Ma l’altra rispose: – Come si permette? Ma chi la conosce?
– Mi scusi, è che siamo sardine entrambe, se non siamo gentili fra di noi...
– Guardi che io non sono una volgare sardina. Io sono una Clupea pilchardus.
Lettore, ti assicuro che avevano il medesimo sapore.

giovedì 24 settembre 2015

Malasanità

Un centauro si ammalò e andò al pronto soccorso a farsi curare. Il medico che lo visitò disse che non era di sua competenza, perché il centauro aveva una parte di cavallo, e quindi lo mandò dal veterinario, il quale disse che non era di sua competenza, perché il centauro aveva una parte di uomo. Fu così che il centauro morì.
La morale della favola è che l’eccessiva specializzazione non permette di vedere l’insieme.

mercoledì 23 settembre 2015

Le due candele

In una chiesa, l’una accanto all’altra, c’erano due candele: una in cera e l’altra elettrica. Quest’ultima disse alla prima:
– Poverina, ma guarda come sudi! La tua fiammella ti consuma continuamente. Io, invece, brillo senza fatica.
– È vero – rispose la candela di cera – morirò prima di te, logorata, ma la luce che faccio è mia, mentre quella che fai tu proviene dal sistema elettrico e non ti appartiene.
Lettore, da quale di queste due candele vorresti essere commemorato?

martedì 22 settembre 2015

Il topo di biblioteca e la cornacchia

Un topo di biblioteca vagava meditabondo per il mondo, portando con sé un pesante incunabolo. Quando arrivò sotto un albero, sentì rantolare una cornacchia. Allora il topo le chiese:
– Mi scusi, lei rantola come una cornacchia: è una cornacchia per caso?
E la cornacchia, rantolando, rispose: – Sì.
– E sta morendo?
Un altro rantolo, un altro sì.
– E di cosa, di grazia, sta morendo?
– Di vecchiaia – gracchiò la cornacchia.
– E mi scusi se sono indiscreto, ma quanti anni ha, di preciso?
– Ottanta.
– Oh! – disse il topo, e aprendo l’incunabolo corresse l’informazione che diceva che le cornacchie vivono mille anni. Appena richiuse il libro, ringraziò la moribonda cornacchia:
– Ma lei è proprio sicura che sta morendo?
La cornacchia cadde dall'albero e stramazzò al suolo.

lunedì 21 settembre 2015

Le buone tradizioni di una volta

Nonostante la mia fede non sia delle più solide, mi considero abbastanza devoto di San Matteo.
San Matteo ricorre il 21 settembre e a Salerno è giorno di festa.
Non escludo che se mi fossi trovato lì sarei andato alla processione.
L'ultima volta che ho visto la processione ho detto a una ragazza che era accanto a me che quando passa la statua del Santo la tradizione vuole che si debba dare un bacio al proprio vicino e lei ha fatto finta di crederci.

venerdì 11 settembre 2015

Panda zen

Un panda che credeva nei principi zen seguiva una pista di bambù, pensando: «Il bambù è vita, io mangio il bambù». La pista portava in una grotta e lì il panda entrò a sgranocchiare comodamente il bambù, quando lo sportello si chiuse davanti a lui, lasciandolo al buio. Solo allora, grazie ai principi zen, si rese conto di essere caduto in una trappola. Quando riaprirono il portello si trovava in Germania, a Berlino, ed era divenuto proprietà dello zoo. La gabbia in cui viveva era molto più angusta delle foreste in cui era cresciuto. Giorni dopo vide una bambina che si drogava e pensò: «A ognuno la sua schiavitù».

giovedì 10 settembre 2015

Il dodo e l'immortalità

L’ultimo esemplare di dodo maschio sulla terra si innamorò dell’ultimo esemplare di dodo femmina che, non avendo altra scelta, ricambiò il suo sentimento. Lei però aveva spesso mal di testa e rimandava così di giorno in giorno il momento in cui avrebbero salvato la propria specie. Il dodo, in trepidante attesa, vagava per la foresta, quando un giorno incontrò un gruppo di cacciatori britannici che, non appena lo avvistarono, gli puntarono contro i fucili e fecero fuoco. Il dodo riuscì miracolosamente a mettersi in salvo, ma non si allontanò: si nascose tra le fronde di un albero vicino per ascoltare i discorsi dei cacciatori e capire quale odio li spingesse a sparargli addosso. «Hai visto? Un dodo! Un esemplare magnifico! Immagina che figurone farebbe nel mio salotto: tutta la nobiltà di Londra lo ammirerebbe estasiata!». Il dodo pensò alla gloria che avrebbe ricevuto dopo la vita. Che cosa lo tratteneva? Pensò all’eventuale e sicuramente ingrata discendenza che avrebbe avuto da sua moglie. Uscì allo scoperto, atterrò e lentamente avanzò verso il lord che, ricaricato il fucile, lo scaricò sulla preda, lasciando ben poco da impagliare per il salotto.

martedì 8 settembre 2015

Non ci sono più i prìncipi di una volta

C'era una volta una principessa bellissima, prigioniera in una torre inespugnabile. Uno stregone malvagio aveva posto a guardia della torre un drago ferocissimo, e tutti i principi che avevano tentato di salvarla avevano fatto una brutta fine. La povera principessa non aveva mai nessuno con cui parlare e si sentiva terribilmente sola e triste.
Un giorno, mentre giocava a solitario come al solito, udì un sibilo che aumentava d'intensità. Stava per affacciarsi alla finestra, quando fu investita da una nube di polvere e calcinacci.
- Ahi! Ahi! Che male! - disse la figura che uscì dal polverone.
- Chi sei?
- Sto bene, sto alla grande!
- Ehi, dico a te che sei piovuto dal cielo!
- Ah, sì, io sono un principe, un principe azzurro.
- Mio salvatore! Come hai fatto ad arrivare qua?
- Beh, modestamente, mi sono fatto catapultare.
- Che bello! E come mi porterai via dalla torre?
- In realtà, non c'è una via d'uscita.
- E allora che sei venuto a fare?
- A farti compagnia.

domenica 6 settembre 2015

L'asino vola

Il cavallo e il coniglio chiacchieravano tranquillamente del più e del meno. Sopraggiunse l’asino e chiese:
– Posso chiacchierare anch’io con voi?
– No! - risposero in coro i due.
– E perché? - chiese timidamente l’asino.
– Perché noi siamo famosi – disse il cavallo – lo sai che gli uomini dicono: «Hai i denti da coniglio». E poi dicono anche: «A caval donato non si guarda in bocca». E i denti dell’asino?
– Vabbe’, però...
– E poi – aggiunse il coniglio – noi portiamo fortuna: pensa al ferro di cavallo o, modestamente, alla zampa di coniglio. Tu invece? Mi sa che porti un po’ sfiga.
– Non saprei... – tentò di rispondere l’asino, mentre veniva cacciato via.
Sconsolato, l’asino si inerpicò allora per un sentiero di montagna, finché non si trovò su una rupe a strapiombo e sospirò profondamente.
– Ehi, un asino che vola! – disse il cavallo, guardando la scena dal basso.
– Eh no! – disse il coniglio.

sabato 5 settembre 2015

Pisciaiuoli & Pecorari

Domani si disputerà all'Arechi il derby Salernitana - Avellino.
La cosa dovrebbe lasciarmi indifferente, ma ero a Salerno quando è uscito il calendario e ho visto mio fratello, i suoi amici e la gente per strada così eccitata che mi sono eccitato anch'io per loro.
Quando ero piccolo ero convinto che Ceramicola tirasse bombe da lontano e fosse meglio di Pelè, perché grazie a un suo gol la Salernitana pareggiò (e, quindi, pareggiammo?) contro l'Avellino.
Come tutti i miei coetanei conoscevo a memoria i cori contro l'Avellino:

Dietro ai monti c'è un paese
là ci trovi l'avellinese
ma se guardi da più vicino  
tu ti accorgi che è un contadino

la bucolica parodia della sigla di Heidi: 

Bianco-verde
ti sorridono i monti
bianco-verde
le caprette ti fanno ciao
bianco-verde
qui c'è un mondo fantastico
bianco-verde
contadino sei tu!

o quello che è sempre stato il mio preferito, perché onirico e surreale:

Il sogno di un granata è svegliarsi un bel mattino
andare dietro ai monti e non trovare più Avellino.

Nelle vacanze del novantatré conobbi una ragazza di Avellino, che si chiamava Sonia: era bellissima, aveva gli occhi color Tirreno d'estate verso mezzogiorno e visto che eravamo in vacanza in Cilento l'accostamento era particolarmente appropriato. In teoria io le stavo pure simpatico, ma la presi in giro durante tutte le vacanze, perché era avellinese, e attorno ai falò o stesi al sole le cantavo in continuazione i suddetti cori.

Che Gesù Cristo abbia pietà di me.

venerdì 4 settembre 2015

Nel blu dipinto di blu

La costellazione dello Scorpione disse a quella del Toro:
– Sai, le luci che compongono le linee per cui io sono lo Scorpione e tu sei il Toro possono essere viste solo dalla Terra, solo da là. Appartengono a sistemi diversi, anche lontanissimi tra loro.
E il Toro rispose:
– Ah, non ci avevo mai pensato.
E lo Scorpione aggiunse:
– E sai, quelle stesse luci sono così lontane che in realtà si riferiscono a stelle che non esistono più.
E il Toro concluse:
– Quindi noi non esistiamo.
Già – gli rispose lo Scorpione, e non parlarono più.

giovedì 3 settembre 2015

Il topo di biblioteca e la salamandra

Un topo di biblioteca vagava meditabondo per il mondo, portando con sé un pesante incunabolo. Quando arrivò sotto a un portico e vide una salamandra appesa alla parete le chiese:
– Mi scusi, lei è una salamandra?
E la salamandra rispose:
– Certo.
Allora il topo brandì un lanciafiamme e lo azionò contro la salamandra, che carbonizzata precipitò a terra. Il topo si sincerò delle sue condizioni e, quando constatò che era deceduta, aprì il pesante incunabolo e lesse: «La salamandra vive nel fuoco». Scosse il capo e aggiunse tra “salamandra” e “vive” un “non”.

mercoledì 2 settembre 2015

Piccolo grande amore

In una città celebre per la parsimonia dei suoi cittadini un venditore ambulante di verdure sostava con il suo carretto di fronte alla basilica dell'Annunziata. Era mattino presto: le donne si affrettavano alla prima messa e varcavano ancheggiando il portone, sotto lo sguardo compiaciuto dell'ambulante.
Ma nel frattempo un mazzetto di basilico aveva occhi solo per il suo grande amore:
- Basilica! Perché siete così fredda? Io vi amo tanto!
- Non siate insolente, con quale diritto mi rivolgete la parola?
- Ecco, fredda e bellissima. Possibile che siate così indifferente al mio amore?
- Ma quale amore! Non vedete come siete piccolo e mingherlino, e poi...
- E poi?
- E poi, beh, insomma, lo sapete, io sono una donna di chiesa!
- Ma il mio amore è puro!
- Vi ho detto no, non mi scocciate: non vedete quanta gente importante devo accogliere? Non ho tempo per voi.
Il basilico stava per ribattere che neppure lui aveva molto tempo, ma proprio in quel momento il venditore lo prese dal banco e lo consegnò ad una massaia con cui stava contrattando il prezzo da mezz'ora.
La basilica fece finta di non essersene accorta, e continuò per secoli ad accogliere i credenti. Ma tutte le volte che in un'omelia sentiva pronunciare la parola “amore” si commuoveva al ricordo di quel suo mazzetto innamorato.

martedì 1 settembre 2015

Il pesciolino che non sapeva nuotare

C’era una volta un pesciolino che non sapeva nuotare. Se ne stava fermo a metà strada tra la superficie e l’abisso, da solo. Ogni tanto gli si avvicinava qualche altro pesciolino e gli chiedeva come mai non si muovesse mai di lì, o semplicemente come stesse. Rispondeva a monosillabi, lui, o se ne restava muto come un pesce. Un giorno apparve uno squalo in lontananza e tutti i pesci scomparvero, tranne lui. Lo squalo lo puntò stupito; poi sogghignò. Gli si appropinquò, allora, lentamente, puntandolo, muovendo la pinna a destra e a sinistra. Il pesciolino restava fermo. Lo squalo, avvicinandosi, si domandava se la sua preda fosse coraggiosa o non si fosse in realtà accorta della sua presenza, ma, quando vide che il pesciolino ricambiava con fermezza il suo sguardo, non ebbe dubbi. Accelerò e spalancò le fauci, e l’unica cosa che il pesciolino disse prima di essere inghiottito nel gorgo dello stomaco fu: «Finalmente!».

lunedì 31 agosto 2015

Autoritratto in uno specchio concavo

Mi specchio nell'incavo di un cucchiaio,
il cucchiaino da caffè, col quale
giro lo zucchero. Riflesso appaio
opaco e capovolto in quell'ovale.

I muri lì dentro si fanno obliqui
e il soffitto precipita nel manico
e come in fondo a una clessidra il liquido
ormai preterito. Mi prende il panico

tremo e mi sento accelerare il cuore
e passano attimi che sembrano ore
e vite. Mentre tremola la fiamma

dell'accendino il mio ritratto annera.
Mi torna in mente un tintinnio; com'era
buono il caffè che mi faceva mamma.

Vanità a lume di candela

La croce in legno scuro e in chiaro il Cristo
le mani e i piedi in quella posa atroce
e tesa. Metto a testa in giù la croce
più che per l'Anticristo per San Pietro.

Dentro una scatola di carta smisto
la sabbiolina nera di una mia
clessidra: nel trasloco da Pavia
a Torino la ruppi e adesso il vetro

affiora tra i granelli. Ecco così
l'ho tramutata in un giardino zen.
Sono seduto a lume di candela

- a casa hanno tagliato la corrente.
Sul tavolo lo specchio mi rivela
un'altra fiamma e oltre le fiamme me.

Paesaggio marino

Si calma il mare: è una distesa grigia;
si affloscia al palo una bandiera rossa,
mentre i bambini scavano una fossa
tra gli ombrelloni chiusi e la battigia.

Duplico replico ripeto copio
immagini composte in un'immagine.
Le lascio scorrere e frusciare: pagine
di un flipbook, specchi di un prassinoscopio.

La luce riflettendosi rimbalza
e rende tremula la superficie.
C'è sulla spiaggia una ragazza scalza,

mi mostra il mare, le cabine, il Lido,
parla e non sento quello che mi dice.
Quando mi chiedono: "Chi sei?" sorrido.

Natura morta con scacchiera

Un vaso e dentro fiori di carota
selvatica in ombrelle; uno spartito
per strimpellare Yesterday dei Beatles
all'ukulele; una scacchiera vuota.

Sul tavolo marciscono le mele,
più effimere di quelle che dipinse
Cezanne, e meno rosse e con più grinze.
Crepato è il manico dell'ukulele.

Al frigorifero un magnete egizio
raffigurante Anubi. Sul balcone
tra la cucina e il bagno di servizio

dolcissima riecheggia una canzone;
ma ha il suono della tromba del giudizio
lo squillo del telefono in salone.

Vanità del suicida

La porta in fondo al corridoio è scura:
la luce penetra dalle altre porte
e i raggi sono per l'angolatura
qualcuno più qualcuno meno forte.

Dalle pareti sono stati tolti
i quadri e alcuni hanno lasciato il segno.
A sinistra una libreria con molti
volumi e, sotto, un mobile di legno.

L'unica costa che si legge bene
è il saggio sul suicidio di Durkheim.
Sul mobile c'è un cesto che contiene

molti limoni dalla buccia d'oro
e in mezzo a questi un verde scuro lime,
accanto a un teschio che alla tempia ha un foro.

Natura morta con sigarette

La batteria dell'orologio è scarica:
diventano più lente le lancette
e quindi inaffidabili. Le sette
e venti abbozzano un sorriso triste.

La luce è dolce ma qui si rammarica,
si ostina a rendere le cose nette:
il posacenere, le sigarette,
quest'ultime alla cenere frammiste

e le parole perse in una chiacchiera.
Sul mobile vicino al frigo il latte
ha un buco nel cartone e cola: macchierà

inesorabilmente il pavimento.
Contro lo stipite la tenda sbatte
nel tentativo di afferrare il vento.

Esercizio di mnemotecnica

Nei miei personalissimi deliri
ascoltando il fruscio di un giradischi
mi aspetto che resusciti uno spirito
- ed è più facile se al suono mischi

un dito, e ancora meglio due, di whisky.
Sentirsi giù di tono e su di giri
è solo uno e non dei più gravi rischi:
quando mi appare quella i cui respiri

l’Incompiuta completano di Schubert,
mi scordo dove sono, e quando, e chi;
cala la luce nella stanza, affranta

dal passaggio improvviso di una nube,
mentre s’incan s’incan s’incan s’incanta
il disco ed è incantevole così.

Vanità con topo

Tanti minuscoli cilindri neri
sul pavimento della sacrestia.
Sul tavolo una scatola coi ceri
- oh gli stoppini come sono corti! -

accanto ad una pisside dorata.
Un po' più in là, sopra alla scrivania
in un registro con diverse date
cognomi e nomi di persone morte.

Nessuno sa cosa succede dopo.
L'acquasantiera è rorida, il turibolo
cela l'incandescenza dell'incenso.

Un crocifisso al muro, su una mensola
un teschio che ha fuori asse la mandibola;
da un'orbita oculare sbuca un topo.

Paesaggio arcadico

Alti e spaziosi gli alberi in cortile
tremolano rendendo le ombre incerte.
Una lucertola nell'erba avverte
tra un guizzo e l'altro una presenza ostile.

Inesorabilmente l'aria imbruna;
le creste indora dei Lattari il sole;
l'oscurità si infiltra nelle aiuole.
Discutono quattro ragazzi ed una

ragazza si allontana dalla panca,
la spalla nuda, una maglietta bianca
ed il foulard coi teschi di McQueen.

E nonostante si sia fatto scuro
si riesce ancora a leggere sul muro
in fondo al portico il graffito: ET IN.

Natura morta con limone

Lo squillo del telefono non smette
di emettere il suo trillo per le stanze.
Sul tavolo si staglia un aprilettere:
i telegrammi delle condoglianze

sono impilati accanto alle bollette.
Entra la luce: prende le distanze
e cerca superfici per riflettersi
e riprodurre quello che non ha in sé.

Lo schermo spento del televisore
su cui convessamente si raduna
in un'opaca replica il salone,

il vetro di bottiglie di liquore,
le lucenti striature di un limone
di costiera tagliato a mezzaluna.

Il riciclaggio dei calendari

Il tempo adesso ci offre paradossi
solo apparenti, credimi; se fossi
più metodico ti direi perché.
Cresce la schiera delle candeline

spente accanto alle briciole di glassa.
La quarta dimensione scarta e ammassa
in uno scatolone le altre tre,
le rende tutte complici. Alla fine

l’ho fatto: ho riciclato i calendari
foglio su foglio e ognuno era una faglia.
Ci imballo soprammobili di vetro

ed altri oggetti che mi sono cari.
Prendendone uno della giusta taglia
ci ho scritto questa poesia sul retro.

Piazza italiana

Sbatte un cancello e il cielo si allontana.
Il sole ha reso anche i piccioni schivi.
La tramontana fa venire i brividi
ad una agorafobica fontana.

La piazza potrebbe essere italiana;
ci sono in fondo a tutto due persone
che fanno un'ombra, come lo gnomone
in pietra di un'enorme meridiana.

Non c'è nessuno in giro, a parte loro.
Neppure i portici offrono un riparo
alla calura. Si aggira un cane cauto

tra le colonne e nello spazio vuoto
tra una colonna e l'altra: il porticato
sembra uno scheletro di brontosauro.

Natura morta con fiori, vino e violino

Il lampadario ha lampadine fioche e
accanto a libri e fogli sparsi spiccano
una bottiglia e un piccolo bouquet:
garofani appassiti e rose secche.

Sul tavolo, sul bordo, di sbilenco
un libro, un'edizione così vecchia
delle poesie d'amore di Evtušenko
che al centro alcune pagine si staccano.

Per terra accanto al tavolo un violino
somiglia a un osso iliaco, l'archetto
di conseguenza ad una tibia e a un perone.

Il letto è singolo e sul comodino
ci sono dei sonniferi e sul letto
altri garofani e un cappotto nero.

È solo un'altra tacca in più

Sul mio taccuino aggiungo un’altra tacca
quando tramonta e stende le sue strisce
il buio sulla linea in cui finisce
il mare e il cielo inizia e se ne stacca.

Qui dove le onde arrivano e si spaccano
in schianti e schiume e svuotano le viscere
io scarico i miei stupidi cliché
perché se li divori la risacca.

Mentre l’estremità del mare mastica,
altalenando avanti e indietro alterno,
alghe, catrame, sabbia, sassi e plastica,

sui moli di ogni porto e sulle darsene
so che vedrò qualcosa di Salerno
restare e nello stesso tempo andarsene.

Interno sotterraneo

In così tanta oscurità le sbarre
delle saracinesche dei garage
fanno pensare a tele di Soulages.
Le cantine continuano ad attrarre

ragazzi inquieti e vandali: per terra
accanto ai vetri rotti un estintore
scarico. Un ragno è sull'interruttore
della luce. L'umidità mi afferra

al collo e nonostante ciò non esco.
C'è un'automobile bruciata: in quella
tenebra sembra un teschio gigantesco:

appaiono le cavità nasali
nel simbolo Renault e una mascella
nel paraurti e orbite nei fanali.

Natura morta con castello di carte

In bilico sul tavolo un castello
di carte si erge per sei piani: accosta
lo sguardo triste delle dame e quello
ancor più malinconico dei jack.

Le carte sono per lo più sul dorso,
alcune rosse, alcune blu. La posta
si accumula. A una mela ho dato un morso
per riprodurre il simbolo del Mac,

in attesa di cogliere il momento
preciso in cui tutto il castello crolli.
Sarà la mosca sulla mela o il vento

che timido si affaccia alla finestra
o la risata isterica del jolly
davanti al sei di fiori in basso a destra?

Intrappolato a Cipro dal vulcano

Intrappolato a Cipro dal vulcano
islandese: ah la globalizzazione.
Sono seduto, ho una patata in mano
- pare che qui siano davvero buone -

ed ho intenzione di sbucciarla piano,
di farlo con la massima attenzione,
per non distrarmi e non sentirmi strano,
perché la lama del coltello espone

le vene delle braccia denudate
agli incresciosi amletici languori:
nella patata scorgerei di Yorick

il teschio ed Elsinore nel mio sgabello.
Ah se potessi prendere un coltello
soltanto per sbucciare le patate.

Natura morta con limoni

La trasparenza alcolica di alcune
bottiglie accatastate sulla mensola.
Piegato in quattro un manifesto funebre
sul tavolo in cucina e il giallo intenso

di un cesto di limoni, nella fioca
luce del pomeriggio. Più si oscura
e più le bucce hanno la pelle d'oca,
un'acre e lucida zigrinatura.

Si adagiano ombre sulle sedie nere,
si mescolano all'ultima bottiglia
intorbidendola. Un limone sta

sull'orlo ed è tagliato in due metà.
La buccia è una spirale e si attorciglia,
sembra che sia sul punto di cadere.